Mitridate, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO TERZO
 
 Piazza di Eraclea con la facciata del tempio di Ercole e con ara collocata in mezzo a due statue colossali, l’una di Ercole e l’altra di Apollo.
 
 SCENA PRIMA
 
 OSTANE
 
 OSTANE
 Ben fu egizio e fatal per me quel giorno,
 in cui vinto da preghi e da lusinghe
 presi in custodia chi dovea costarmi
 tanto disagio e affanno. Ah, che men grave
670peso e fatica è aver sul capo un monte
 che in sua cura tener vaga fanciulla.
 Chi detto me l’avria? Quella che m’era
 di conforto in miseria e in servitude,
 di virtù parea specchio e di onestade.
675Ma l’apparenza inganna; e tali sono
 le reti e i lacci, che a beltà son tesi,
 che alfin per qualche via forza è che inciampi.
 Dopo un vano cercarla, io qui men venni,
 ultima meta de’ miei lunghi errori.
680Or con qual fronte a Gordio
 mi offrirò? Qual di Aristia
 conto gli renderò? Poc’anzi il vidi
 e nella turba mi celai per tema
 d’esser sorpreso. Aristia, oh, qual mi hai resa
685mercede! Io più che padre
 ti fui. Tu a me furtiva... Ah, questo, questo
 de’ miei danni è il più greve,
 che m’hai schernito; e pur saper dovea
 che cor di figlia è mobil cosa e lieve.
 
690   Vedea modesto volto;
 sguardo vedea raccolto;
 tutto virtù parea;
 ma il cor, che non vedea,
 fu quel che m’ingannò.
 
695   Venga beltà e si vanti
 che non conosce amore
 e che non cura amanti;
 più non mi fiderò.
 
 SCENA II
 
 MITRIDATE, LADICE, APAMEA, soldati, popolo, eccetera
 
 MITRIDATE
 Dei, che al Ponto e all’Eusino
700presidi siete e che teneste incerto
 fra Mitridate e Roma
 lungo tempo il destino, avremmo vinto,
 s’Asia non ne tradia. Vil servitude,
 più che onorata libertà le piacque.
705Non la scosse il mio esempio; e non la punse
 il danno mio. Cedei costretto e attesi
 miglior tempo a vendetta. Or questo è giunto,
 popolo mio fedel. Farem non soli
 la guerra a Roma. Asia respiri alfine
710e sien l’Ionio e l’Alpi
 dell’orgoglio latin meta e confine.
 LADICE
 Tarda ancora Farnace.
 MITRIDATE
 Verrà. Bando a timore.
 APAMEA
 (Poco di lieto mi predice il core).
 
 SCENA III
 
 GORDIO fra i due legati, con seguito di armeni, e i suddetti
 
 GORDIO
715Piaceti, eccelso re, ch’alto si legga,
 pria che si giuri, il vicendevol patto?
 MITRIDATE
 Piacemi.
 GORDIO
                    E che presenti i patri numi,
 l’odan Pontici e Armeni?
 MITRIDATE
 Piacemi. (Gordio spiega e legge il patto dell’alleanza)
 GORDIO
                     «Regio patto.
720Tra i due d’Armenia e Ponto alti monarchi
 sia ferma pace e stabil lega. Entrambi
 movan per ogni lato, a un tempo istesso,
 contra il popol roman schiere e navigli.
 L’un senza l’altro non deponga l’armi
725né dia mai pace. Erede a Mitridate
 sia il principe Farnace; e la reale
 di Tigrane germana a lui sia sposa.
 Sculto in bronzo il decreto eterno passi
 ai secoli venturi.
730Il giuri Mitridate;
 e per Tigrane Eumaco e Arasse il giuri». (Mitridate, accostandosi all’ara, rivoltasi verso il simulacro di Ercole)
 MITRIDATE
 Prole immortal di Giove, invitto Alcide, (Con instrumenti)
 giura a te Mitridate;
 e su questa, a cui stendo
735riverente la destra, ara sacrata,
 giura il patto osservar. Se fia ch’io manchi,
 questa fiamma immortal sovra il mio capo
 divampi e lo divori;
 e alle ceneri mie, del monumento
740l’onor sia tolto e le disperda il vento.
 GORDIO
 Arco e stral mi si rechi; e voi su l’ara (Vien recato a Gordio un arco armato di freccia e, intanto ch’esso per Tigrane fa il giuramento avanti la statua di Apollo, i due legati armeni si accostano all’ara e vi pongon sopra la mano)
 la man ponete, Eumaco e Arasse.
                                                              O vita (Con instrumenti)
 del mondo, o re del giorno, o biondo Apollo,
 su l’arco teso eccoti il ferro alato, (Mette la freccia su l’arco e poi la scocca in aria)
745eccol volar stridendo
 e fender l’aure vane. Or se la fede,
 che a te sincera in nome
 giurasi di Tigrane, ei venga meno,
 fa’ sì, che il letal ferro
750su lui ricada e gli trafigga il seno.
 LADICE
 Ancor tarda Farnace...
 MITRIDATE
 Verrà. Lo attenderemo
 nel tempio.
 APAMEA
                        (Io non ho pace). (Incamminandosi tutti per entrare nel tempio, si arrestano in vedendo Dorilao frettoloso che verso loro sen viene colla spada in mano)
 
 SCENA IV
 
 DORILAO e i sopraddetti
 
 DORILAO
 Ah, signor...
 MITRIDATE
                         Dorilao...
 LADICE
                                            Qualche sciagura.
 DORILAO
755Il principe Farnace
 assalita ha la reggia e, poste in fuga
 le poche guardie, ne ha rapita Aristia.
 APAMEA
 O dio!
 MITRIDATE
               Rapita Aristia? E tu cedesti?
 DORILAO
 Feci il dover; ma solo o mal seguito,
760che potea contra tanti? Ei via si aperse
 col ferro e più col guardo.
 Pochi osar volger l’armi
 contra il figlio real.
 MITRIDATE
                                     Non è più figlio
 chi già è ribello. Andiam di mano a torgli
765l’iniqua preda.
 DORILAO
                              Ei seco
 ora è fuor di Eraclea, che uscir nel vidi,
 occupata e sorpresa
 la porta aquilonar che al mar riguarda.
 GORDIO
 Ah, che ivi pronte ei tiene e navi e schiere
770dalla Colchide...
 MITRIDATE
                                Avesse
 tutta anche l’Asia sbigottir farollo
 anche in mezzo al suo campo. Andiam, soldati.
 GORDIO
 (Forse gli oltraggi miei fien vendicati). (Si parte)
 LADICE
 Oimè! Che non ti guidi
775l’ira soverchia a perderti. Di amante
 moglie i cauti consigli...
 MITRIDATE
 Eh, vinti ha Mitridate altri perigli. (Si parte Mitridate seguito da’ suoi soldati)
 
 SCENA V
 
 LADICE, APAMEA e DORILAO
 
 LADICE
 Apamea, se non lieta,
 vendicata sarai.
 APAMEA
780E in esser vendicata
 sarò allora io più lieta?
 LADICE
 Che? Dopo tante ancora ingiurie ed onte
 ameresti l’indegno?
 Vile che sei. Rendigli sprezzo e sdegno.
 
785   Ricordati qual sei;
 e pensa qual son io.
 
    I torti tuoi son miei.
 Se col tuo cor non puoi, l’odia col mio.
 
 SCENA VI
 
 APAMEA e DORILAO
 
 DORILAO
 Fermati; e almen di qualche atto cortese
790degna l’opra fedel di servo amante.
 APAMEA
 Oh, se nel duro stato, in cui mi trovo,
 tempo avessi a sgridar chi mal mi serve,
 di premio invece avresti pena.
 DORILAO
                                                          L’arte
 è questa degl’ingrati,
795mostrar che sieno offese i benefizi,
 per negar la mercede.
 APAMEA
 Che facesti in mio pro?
 DORILAO
                                             Salvo è Farnace.
 Dorilao ti ubbidì. Diedi a sua fuga
 e la mano e il consiglio.
 APAMEA
800Ch’ei sol fuggisse di Eraclea, bastava.
 DORILAO
 Tanto ti duol che Aristia
 sia di Farnace al fianco?
 APAMEA
 Duolmi che il padre a sé rubel lo creda.
 DORILAO
 Non t’infinger. Tu l’ami... Eh, ch’io vaneggio.
805Il tuo solo è dispetto,
 non gelosia.
 APAMEA
                         Di’, segui.
 DORILAO
 Mostri d’amar Farnace
 per timor della madre...
 APAMEA
                                              E dolor mostro
 di vedermi sprezzata. E ch’altro dissi?
 DORILAO
810Mi sovvien del comando; e l’ho ubbidito.
 Né qui sto a ricercar se nel tuo core
 ciò che il diè fu virtù, pietà...
 APAMEA
                                                       Fu amore.
 E amor mi chiama al campo;
 e tu devi soffrirlo e là guidarmi.
 DORILAO
815Colà tra i rischi e l’armi?
 APAMEA
 Colà dov’è Farnace,
 mio tesoro, mio amor, mio ben, mia pace.
 
    M’intendesti? Che vuoi far?
 Ubbidir per meritar.
820Al mio amore
 sii fedele. E poi chi sa?
 
    Al destino del tuo core
 resta almen qualche speranza.
 Solo il mio sperar non sa.
 
 SCENA VII
 
 DORILAO
 
 DORILAO
825Con ingrata beltà così succede,
 tormentosa costanza, inutil merto,
 sofferenza sicura e premio incerto,
 
    Meglio saria sul lido
 coltivar sterpi e arene
830che por fatica e spene
 a ben servir le ingrate.
 
    Veglia a punir la legge
 furti, omicidi, inganni;
 né sa por freno ai danni
835che fa crudel beltà.
 
 Spiaggia di mare, tutta ingombrata di tende e d’altri apprestamenti di guerra. Da una parte, veduta di armata navale in lontano e dall’altra quella del porto e della città di Eraclea.
 
 SCENA VIII
 
 FARNACE e ARISTIA, con seguito di soldati
 
 FARNACE
 Siamo nel fedel campo. Io t’ho pur tratta
 dalla barbare mani
 de’ tuoi nimici e miei.
 ARISTIA
                                            Deh, che facesti?
 Deh, che far pensi?
 FARNACE
                                      Viver tuo e salvarti.
 ARISTIA
840Questa misera vita
 merita, o dio! che tu le sveni il sacro
 dover di figlio e la tua gloria istessa?
 Per me sarà Farnace
 un figlio ingrato, un suddito ribello?
 FARNACE
845Odio anch’io questi nomi; e queste colpe
 anche a me fanno orrore.
 Ma mi si lasci Aristia
 né mi si astringa a peggio.
 ARISTIA
 Parmi già di veder il regal padre
850d’ira armato e di ferro...
 FARNACE
 L’ire rispetterò; col petto ignudo
 incontrerò quel ferro;
 ma mi si lasci Aristia
 o prometter di me null’altro posso
855che dolor disperato e amor feroce.
 ARISTIA
 Caro principe, lungi
 sì rei pensier. Ti abbraccio (S’inginocchia)
 le ginocchia e le spargo
 di lagrime e ti prego.
860Torniamo in Eraclea. Torniamo al padre.
 Getta al suo piè quel ferro,
 ferro ancora innocente.
 Merita il suo perdono;
 e di me non ti caglia,
865s’anche debba morir. La morte mia
 assolve la tua fede,
 ti toglie di periglio e in miglior nodo
 ti riconcilia il padre.
 FARNACE
 Crudel! Ti avrò salvata
870per poi condurti io stesso
 vittima all’odio altrui? Dimmi, e fia meglio
 che questa man, che questo
 acciar sia il tuo omicida.
 Torrò almeno così, torrò quest’empio
875trionfo a’ tuoi nimici. (S’ode in lontano suono di timpani e trombe)
 ARISTIA
 Oimè, qual suon! Forse il re fia...
 FARNACE
                                                              Guerrieri,
 custoditemi Aristia.
 ARISTIA
                                       E tu risolvi?...
 FARNACE
 O salvarti o morir.
 ARISTIA
                                     Sei figlio...
 FARNACE
                                                           E sposo.
 Ritirati. Al tuo aspetto
880crescerieno nel padre
 le furie, in me i perigli.
 ARISTIA
                                             Ah, temi colpa,
 non morte. Ancor ti prega il cor dolente.
 FARNACE
 Vanne. Tu reo puoi farmi e tu innocente.
 ARISTIA
 
    Senti e parto. (Pensa alquanto e poi risoluta)
885Segui pur il tuo consiglio,
 sposo ingiusto, iniquo figlio.
 Il mio ancora io seguirò.
 
    Da un colpevole furore
 l’innocenza del mio amore,
890no, tradir non lascerò. (Entra in una tenda vicina)
 
 SCENA IX
 
 MITRIDATE con seguito e FARNACE
 
 MITRIDATE
 Là restate, o soldati. Anche a costoro (Di lontano a’ suoi)
 re sono; e arrossirei che Mitridate,
 non avvezzo a temer fra’ suoi nimici,
 nel suo campo temesse. (Si avanza verso Farnace)
 FARNACE
895Padre e signor... (Andandogli incontro)
 MITRIDATE
                                  Quai nomi
 sul labbro di Farnace? È questa, o perfido,
 l’ara? Qui all’imeneo la pompa appresti?
 Han qui a spegnersi l’ire?
 Qui i sospetti a finir? Qui a giurar vieni
900la guerra a Roma? O vieni
 a farla a Mitridate?
 Eccomi. Su. Costoro,
 ch’eran sudditi miei, sono i tuoi forti
 commilitoni. A me difese intorno
905non ho né voglio. Su. Snuda quel brando.
 Volgilo a questo petto;
 o me lo gitta al piede,
 figlio senza rispetto e senza fede.
 FARNACE
 Né quest’armi, o signor, né questo figlio
910sono in tua offesa. Il solo
 Mitridate qui regna. Io qui non venni
 rei tumulti a svegliar. Cercai rifugio
 per Aristia e per me. Libero parlo.
 Esser non può mia sposa
915la figlia di Ladice. Altri ricerchi
 patti l’Armenia, altri ne accordi il Ponto,
 questo non mai, che dal mio cor dipende
 e da un amor che sua ragion difende.
 MITRIDATE
 Con sì perverso figlio
920voi vendicate, o dei, gli altri che ho uccisi
 per minor fallo. Punirò anche questo;
 né tu sarai l’erede
 di Mitridate.
 FARNACE
                           Io ti presento il seno.
 Segui il barbare genio, il fier costume.
925Non ti nego una vita
 ch’è tua. Quella ti nego
 fede che solo è mia. Lasciami Aristia
 e poi di regno privami e di tutto.
 MITRIDATE
 Pur mi additasti il luogo
930da poterti atterrir. La scellerata (Dà di mano alla spada)
 donna, cagion di tanti mali, omai
 tolgasi dalla terra. (Veduta Aristia uscir dalla tenda, va furioso verso di lei)
 FARNACE
 Me vivo e me presente,
 facil non fia. (Snuda anch’egli la spada, ritirandosi)
 MITRIDATE
                           Che? Contro il padre ancora?
 FARNACE
935Il padre si rispetti. (Abbassa la punta della spada. E intanto Aristia si avanza)
 
 SCENA X
 
 ARISTIA e i suddetti
 
 ARISTIA
                                      E Aristia mora.
 FARNACE
 Oh cieli!
 ARISTIA
                   Odimi, o re. Soffri, o Farnace.
 In quel torbido ancor d’ira funesta
 che ti offusca la fronte,
 leggo l’amor paterno. Che un tal figlio,
940figlio sempre a te caro, or ti resista,
 ti fa dolor. L’impegno
 del grado e della fede
 t’obbliga, benché padre, ad esser giusto
 e ad esser re. Degno è un fellon di morte,
945tal ti sembra Farnace;
 ma tal non è. Non sempre
 quella, che par gran colpa, è vera colpa.
 Bastava in sua discolpa
 che gli uscisse di bocca un solo accento.
950Dal labbro gliel rispinse e in cor gliel chiuse
 il timor del mio rischio. A me or conviene
 rendergli egual pietade e a Mitridate
 salvare il figlio, il successore al trono.
 Signor, tutti i suoi falli
955fatti ha il dover. Sappil, sua moglie io sono.
 FARNACE
 Ah, che dicesti!
 MITRIDATE
                               Moglie,
 moglie tu di Farnace?
 ARISTIA
                                           Io il sono; e in dirlo,
 conosci e ciò ch’io pensi e ciò ch’io voglia.
 Me viva, altra consorte
960si divieta al tuo figlio.
 Quella che devi a lui, succeda in voto
 talamo, ma pudico,
 a chi se dal natal non ebbe il merto,
 da virtù forse l’ebbe.
965Io torno in Eraclea. Sia in tuo potere (Si accosta a Mitridate)
 il destino di Aristia.
 Tu al mio sposo perdona. Addio Farnace.
 Addio. Al padre ubbidisci.
 Di Aristia ti sovvenga e datti pace. (Parte e in lontano s’incontra con Apamea, con cui si ferma alquanto a discorrere)
 
 SCENA XI
 
 MITRIDATE, FARNACE e poi APAMEA con DORILAO
 
 FARNACE
970No. Senza me tu non andrai... (Vuol seguire Aristia)
 MITRIDATE
                                                         Se Aristia (Vien trattenuto da Mitridate)
 tanto ti fa temer, fermati e guarda
 che non m’esca un comando,
 per lei fatal. Soldati.
 Scortatela alla reggia. (Alquanti de’ soldati di Mitridate seguono Aristia)
 FARNACE
                                           Ivi è Ladice. (Apamea si avanza)
975E in sì barbare mani
 sì bella vita?
 APAMEA
                          Ostaggio
 per la vita di lei sarà la mia.
 MITRIDATE
 Apamea
 APAMEA
                   Re del Ponto,
 quello ch’odio di madre
980sovra Aristia oserà, fia vendicato
 dal dolor dell’amante. Io qui rimango.
 Sappialo la regina.
 DORILAO
 (Che mai non osa amor?)
 APAMEA
                                                 Sappi e tu, sire,
 che per quanto in quest’alma arda il bel foco, (Dando un’occhiata a Farnace)
985mai con la bassa idea di un falso bene,
 né a viltà piegherassi
 né darà braccio ad ingiustizia e a forza.
 D’Aristia e di Farnace
 l’anime ha il ciel congiunte.
990Dividerle perché? Perché gli auspizi
 a’ tuoi vasti disegni
 prender da un atto ingiusto? E ch’io l’approvi?
 Ch’io ne sia la cagion? No. Ciò che lice
 solo a me piaccia e. se l’amor non puote,
995me almeno la virtù renda felice.
 MITRIDATE
 Qual t’abbia tratta al campo, ov’è Farnace,
 pensier, nol cerco, o principessa. Industria
 di giovanetta amante
 è il mascherar gli affetti
1000col nome or di virtude ed or di sprezzo.
 Rimanti pur col figlio. Unirvi è il solo
 voto di Mitridate;
 e voto era di lui torgli dal fianco
 la mal rapita donna.
1005Farnace, io il feci; e parto
 e di quel che ti ho tolto
 e di quel che ti lascio, altero  e lieto.
 Addio. Vieni a tuo grado in Eraclea
 con la bella Apamea; ma vieni in guisa
1010che con miglior consiglio
 altro amante in te trovi ed altro figlio.
 
    Pensa, se ancor resisti,
 che posso vendicarmi.
 Risolviti a placarmi
1015o il fulmine cadrà.
 
    Non dir che amore e fede
 ti unisce ad altra amante.
 Gli affetti in cor regnante,
 se il regno non li chiede,
1020son bizzaria o viltà.
 
 SCENA XII
 
 FARNACE, APAMEA e DORILAO
 
 FARNACE
 Generosa Apamea, deh, che mi giova
 la tua pietà?
 APAMEA
                          Che temi?
 FARNACE
 Tutto, e Ladice e Mitridate e ferro
 e tosco... O Aristia! O sposa! Ogni momento
1025me la presenta in vario aspetto esangue.
 APAMEA
 So il furor della madre;
 ma so ancora il suo amor.
 DORILAO
                                                 Né Mitridate
 te irriterà, che tieni
 il favor de’ soldati e sei nel campo.
 FARNACE
1030Oh, fossi in Eraclea. Là il cor mi chiama,
 là il dover, là d’Aristia...
 Perdonami, Apamea. Te ancor presente,
 dissimular non posso
 un amor che ti offende.
1035Di me stesso non son, sono di morte.
 APAMEA
 (Felice Aristia, io cangerei ben sorte).
 DORILAO
 Ma che risolvi alfine?
 FARNACE
 Seguire il fato e ritornare al padre.
 APAMEA
 Teco io sarò. Della regina al core
1040parleran le mie lagrime.
 FARNACE
                                               Non poca
 parte di mia sciagura
 è la necessità di esserti ingrato.
 APAMEA
 Salverò Aristia e a costo
 anche dell’amor mio sarai beato.
 DORILAO
1045Né in vil ozio starò. Te seguiranno
 fra poco in tua difesa
 i più forti del campo,
 me duce. È di Apamea sovrano impero
 tentar tutto in tuo pro.
 FARNACE
                                            Quest’anche? Oh, fossi
1050in libertà di amarti;
 ma tu già intendi il mio dover qual sia.
 APAMEA
 Il tuo dover fa la miseria mia.
 FARNACE
 
    Occhi bei, voi mi vedreste
 arso il cor dai vostri rai,
1055se in me cor trovato aveste,
 quando prima io vi mirai.
 
    Nel piacer del vagheggiarvi
 il dover mi rammentai;
 né potendo allora amarvi,
1060mi ritrassi e sospirai. (Presa per mano Apamea si incammina con essa verso la città e Dorilao entra nelle tende, seguito dai soldati)
 
 Il fine dell’atto terzo